La Nostra Ispirazione

Per circa un lustro la A.M.G. Sebastiani Rieti è stata non soltanto una tra le migliori squadre italiane, ma addirittura ai vertici della pallacanestro continentale. L’eldorado cestistico sabino può indicativamente collocarsi tra il 1977 ed il 1981, coincidendo con la fase di massima crescita e sviluppo economico di un territorio – Rieti e la Sabina – ineludibilmente, storicamente votato all’agricoltura ma che, in quegli anni, conobbe un clamoroso sviluppo industriale. La nascita del nucleo di Santa Rufina fu rapida, incipiente e condusse all’avvento di una serie di importanti opifici, primo fra tutti la Texas Instruments di Dallas, colosso dell’elettronica che, giusto a Rieti, diede vita al proprio e principale polo europeo di attrazione. Tutto ciò ebbe ripercussioni di non poco conto sul fenomeno-basket che prese piede in città con una furia, una veemenza ed una contagiosità pandemica al cospetto della quale pure il nefasto e temuto Covid-19, sfigura. Il dominus di questo movimento, in un felice, irripetibile connubio tra crescita economica e sportiva della città, fu il compianto Renato Milardi. Un boom che coinvolse altri sport.

In primis l’atletica leggera. In quegli stessi anni, Rieti disponeva della società dominatrice incontrastata in Italia – l’Alco Rieti con Pietro Mennea, il primatista dell’alto Erminio Azzaro (marito dell’olimpionica Sara Simeoni) ed altri prodigiosi protagonisti ad esaltarne le gesta – ed il rugby, sponsorizzato proprio Texas Instruments, che parimenti militava in serie A. Autentiche eccellenze sportive in una cittadina di soltanto 40.000 anime a testimonianza di un’epopea unica ed irripetibile. In tutto questo, il basket e la gloriosa AMG Sebastiani – intitolata ai fratelli Angelo, Mario e Gino Sebastiani che furono barbaramente  trucidati dai nazisti – costituirono il fulcro, la punta di diamante, il diadema di famiglia che Renato Milardi – all’epoca industriale tra i più affermati nonché braccio destro di Enrico Mattei all’Eni e ai vertici Efim – coltivò e fece crescere: con amore, passione e dedizione uniche. “Il mio obiettivo – dichiarò il dott. Milardi in una celebre intervista rilasciata allo storico giornalista reatino Ottorino Pasquetti, all’epoca giornalista de Il Messaggero, all’indomani della prima e storica promozione della Sebastiani in serie A, risalente al 29 Giugno 1973 – è quello di evitare che la targa delle nostre vetture: RI, sia ancora e comunque confusa con Rimini. Gli italiani devono sapere che c’è un puntino, nella cartina, esattamente al centro, nell’ombelico del nostro paese che si chiama: Rieti”. Un semplice, genuino, spontaneo senso di rivalsa guidava Renato Milardi nella sua rincorsa ai vertici del basket: non soltanto italiano, ma addirittura europeo. Il progetto di Milardi, ambizioso e prolifico, era mirato alla costruzione di una squadra tra le migliori. 

In primis l’atletica leggera. In quegli stessi anni, Rieti disponeva della società dominatrice incontrastata in Italia – l’Alco Rieti con Pietro Mennea, il primatista dell’alto Erminio Azzaro (marito dell’olimpionica Sara Simeoni) ed altri prodigiosi protagonisti ad esaltarne le gesta – ed il rugby, sponsorizzato proprio Texas Instruments, che parimenti militava in serie A. Autentiche eccellenze sportive in una cittadina di soltanto 40.000 anime a testimonianza di un’epopea unica ed irripetibile. In tutto questo, il basket e la gloriosa AMG Sebastiani – intitolata ai fratelli Angelo, Mario e Gino Sebastiani che furono barbaramente  trucidati dai nazisti – costituirono il fulcro, la punta di diamante, il diadema di famiglia che Renato Milardi – all’epoca industriale tra i più affermati nonché braccio destro di Enrico Mattei all’Eni e ai vertici Efim – coltivò e fece crescere: con amore, passione e dedizione uniche. “Il mio obiettivo – dichiarò il dott. Milardi in una celebre intervista rilasciata allo storico giornalista reatino Ottorino Pasquetti, all’epoca giornalista de Il Messaggero, all’indomani della prima e storica promozione della Sebastiani in serie A, risalente al 29 Giugno 1973 – è quello di evitare che la targa delle nostre vetture: RI, sia ancora e comunque confusa con Rimini. Gli italiani devono sapere che c’è un puntino, nella cartina, esattamente al centro, nell’ombelico del nostro paese che si chiama: Rieti”. Un semplice, genuino, spontaneo senso di rivalsa guidava Renato Milardi nella sua rincorsa ai vertici del basket: non soltanto italiano, ma addirittura europeo. Il progetto di Milardi, ambizioso e prolifico, era mirato alla costruzione di una squadra tra le migliori. 

Fu così che, per celebrare il primo campionato di serie A, il Dott. Milardi regalò alla città il compianto Luciano Vendemini. L’ingaggio di questo giocatore straordinariamente alto per quell’epoca – ben 212 centimetri – occupò le prime pagine di tutti i quotidiani perché fu pagato addirittura 102 milioni: una cifra iperbolica ai tempi. Sono trascorsi tanti, troppi anni. Di acqua, sotto i ponti, ne è passata. Le generazioni di reatini si sono avvicendate, ma la passione è rimasta. Quel seme, depositato nel terreno della Provincia sabina da Renato Milardi più o meno 50 anni or sono, è cresciuto ed ha prodotto frutti, ha fatto proseliti. Ancora oggi, nonostante il calcio che, complice la morbosa attenzione mediatica tutto divora e tutto fagocita, nonostante il covid e le nefaste conseguenze del virus, la pallacanestro resta incontestabilmente e senza timore di confronto lo sport cittadino più amato, più popolare e maggiormente praticato dai giovani. Oggi Roberto Pietropaoli raccoglie parte dei frutti di quella pianta originaria, messa a dimora tanto tempo fa da Renato Milardi con l’intento, ambizioso, però legittimo e grandemente apprezzabile, di riprendere le fila di una storia meravigliosa ed ineguagliabile e l’obiettivo di restituire Rieti, con la mai dimenticata Sebastiani, agli antichi fasti. Un progetto ambizioso, un’eredità importante, una denominazione – Sebastiani – impegnativa, onerosa, che grava. Una sorta di missione impossibile alla quale Roberto Pietropaoli si è votato: spendendo tutto se stesso, impegnando ogni stilla di energia per restituirsi e restituire alla città un sogno amato, desiderato, voluto, coltivato e cresciuto sulle gradinate del glorioso PalaSojourner. Pietropaoli, al pari di quei reatini che gli sono più o meno coetanei, è stato avvinto, stregato dalle gesta dei tanti campioni che hanno vestito i colori della AMG Sebastiani. Il patron reatino è fermo nel proposito  di recuperare l’antico blasone. L’avvento in città di Domenico Zampolini, oggi gm e uomo immagine della Real Sebastiani, ma sul finire degli anni ’70 enfant prodige – unitamente a Roberto Brunamonti – della Sebastiani Rieti come di tutta la pallacanestro italiana, ha la funzione di tessere un’ideale unione tra la Sebastiani che fu – AMG – e la Sebastiani che è – Real -. La conoscenza della storia – in questa circostanza sportiva e cestistica nello specifico – non è fine a se stessa, ma serve per guidarci nella costruzione del futuro e per armarci, nel presente, alla ricerca delle radici verso prospettive radiose e di ambizioso impatto, fruttuosa crescita. Prezioso trade d’union tra quel che fu – AMG Sebastiani – e quel che è – Real Sebastiani – poteva rivelarsi colui che fu lo storico direttore sportivo della AMG, Attilio Pasquetti, cresciuto sotto l’egida di Italo Di Fazi e che un destino avverso ha strappato troppo presto a questa terra. Attilio fu artefice dell’avvento, in città, di Willard Leon Sojourner, pivot d’oltre oceano, tra i più forti che abbiano mai calcato i parquet di questo continente. Joe “Jellybean” Bryant, padre del mai dimenticato Kobe che giusto a Rieti cominciò la sua prodigiosa carriera cestistica, arrivò in città proprio grazie ad Attilio che riuscì a strapparlo alle migliori formazioni indigene, avvezze a primeggiare in Europa. Qualche stagione or sono Roberto Pietropaoli chiamò Attilio con se, al Real Rieti, nel futsal. Conoscendone le virtù manageriali che Pasquetti aveva maturato in tanti anni di lavoro spesi proprio nella Texas Instruments e che, con il tempo, aveva trasfuso nel mondo dello sport e del basket più in particolare, Pietropaoli lo volle al suo fianco nella conduzione del Real Rieti. Con Attilio Pasquetti, più volte parlammo di questa esperienza, anche negli ultimi mesi di vita terrena, quelli più bui e della malattia. Quando, però, parlavamo di basket, quasi magicamente tutto passava e, per qualche istante, anche i pensieri più tristi e tetri lo abbandonavano. “Roberto Pietropaoli ha forza interiore e motivazioni uniche – raccontava – In quel solo anno che ho trascorso con lui, al Real Rieti, ho potuto constatarne la competenza e la professionalità. La sua gestione è perfetta, lui vuole che tutto vada sempre per il meglio e si prodiga per questo. Tra l’altro, in un anno di collaborazione, non ho mai sentito una sola persona che si sia lamentata per un mancato pagamento. I rimborsi, gli stipendi, per giocatori e dirigenti sono sempre puntualissimi. Però – proseguiva Attilio – gli rimproveravo bonariamente che, lavorando insieme, parlavamo molto di basket e poco, troppo poco di calcio a 5. Prendi il basket, lo sollecitavo io – concludeva l’ex gm della AMG Sebastiani – la tua passione per la pallacanestro è smisurata e con le tue competenze e la tua professionalità non potrai fare che bene: a Rieti sportiva come all’intero movimento”. Un vaticinio, una profezia, quella di Attilio Pasquetti, cui Roberto Pietropaoli ha finalmente desiderato dare contezza, dopo anni di riflessione, di titubanza, ma anche di un ingiusto, coartato contenimento delle proprie, legittime ambizioni. Una storia, quella della Real Sebastiani, partita da lontano, dalla serie B, ma appena cominciata, con l’ambizione di tornare quanto prima a sfidare quelle che, ancora oggi, sono le formazioni più blasonate ed ai vertici: Virtus Bologna, Armani Milano, Reyer Venezia, ma pure Cantù, Varese, Treviso e le new entry Sassari con Brindisi. Quella di Roberto Pietropaoli è, al momento, una visione onirica, soprattutto “a stelle e strisce” per quel desiderio, quella volontà di ricondurre sul parquet della gloriosa arena di Villa Reatina i “grandi” giocatori americani. Quelli che con il loro fisico, le capacità agonistiche, una tecnica sopraffina, carisma e sapienza tattica hanno illuminato  la storia della Rieti dei canestri e della  AMG Sebastiani: sopra a tutti Clifford Meely che egli considera il più grande, ma ancora l’immenso Sojourner, l’incontenibile Lee Johnson, Tony Zeno, il fromboliere Joe Bryant. Un percorso di sport, una storia di vita che, alla luce delle premesse, non potrà che produrre ottimi frutti.

Valerio Pasquetti

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